Il 24 marzo 2024 è la trentaduesima Giornata dei Missionari Martiri. È stato scelto questo giorno per commemorare Sant’Oscar Romero, l’arcivescovo di San Salvador ucciso in quello stesso giorno nel 1980. L’impegno di Romero accanto al popolo salvadoregno, in lotta contro un regime elitario indifferente alle condizioni dei più deboli e dei lavoratori, continua a parlare ai giovani e non solo, richiamando alla necessità di una vita cristiana attenta alla preghiera tanto quanto alla cura della sorella e del fratello.
Dossier a cura di Stefano Lodigiani
Le informazioni raccolte dall’Agenzia Fides rilevano che nel 2023 sono stati uccisi nel mondo 20
missionari: un Vescovo, otto sacerdoti, due religiosi non sacerdoti, un seminarista, un novizio e sette tra laici e laiche. Anche se gli elenchi compilati da Fides sono sempre aperti ad aggiornamenti e correzioni,
si registrano due missionari uccisi in più rispetto all’anno precedente. Secondo la ripartizione
continentale, quest’anno il numero più elevato torna a registrarsi in Africa, dove sono stati uccisi 9
missionari: 5 sacerdoti, 2 religiosi, 1 seminarista, 1 novizio. In America sono stati assassinati 6
missionari: 1 Vescovo, 3 sacerdoti, 2 laiche. In Asia sono morti, uccisi dalla violenza, 4 laici e
laiche. Infine in Europa è stato ucciso un laico.
Come negli anni precedenti, l’Agenzia Fides usa il termine “missionario” per tutti i battezzati, riconoscendo che “in virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario. Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione” (Papa Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, 120). Del resto l’elenco annuale di Fides da tempo non riguarda solo i missionari ad gentes in senso stretto, ma prende in considerazione tutti i battezzati impegnati nella vita della Chiesa morti in modo violento, anche quando ciò avviene non espressamente “in odio alla fede”. Per questo si preferisce non utilizzare il termine “martiri”, se non nel suo significato etimologico di “testimoni”, per non entrare in
merito al giudizio che la Chiesa potrà eventualmente dare su alcuni di loro proponendoli, dopo un
attento esame, per la beatificazione o la canonizzazione.
Uno dei tratti distintivi che accomunano la maggior parte degli operatori pastorali uccisi nel 2023 è senza dubbio la loro normalità di vita: non hanno compiuto cioè azioni eclatanti o imprese fuori del comune che avrebbero potuto attirare l’attenzione e farli entrare nel mirino di qualcuno. Scorrendo le poche note sulla circostanza della loro morte violenta troviamo sacerdoti che stavano andando a celebrare la Messa o a svolgere attività pastorali in qualche comunità lontana; aggressioni a mano armata perpetrate lungo strade trafficate; assalti a canoniche e conventi dove erano impegnati nell’evangelizzazione, nella carità,
nella promozione umana. Si sono trovati ad essere, senza colpa, vittime di sequestri, di atti di
terrorismo, coinvolti in sparatorie o violenze di diverso tipo. In questa vita “normale” vissuta in
contesti di povertà economica e culturale, degrado morale e ambientale, dove non esiste il rispetto
per la vita e per i diritti umani, ma spesso è norma solo la sopraffazione e la violenza, sono stati
accomunati anche da un’altra “normalità”, quella di vivere la fede offrendo la loro semplice
testimonianza evangelica come pastori, catechisti, operatori sanitari, animatori della liturgia, della
carità…. Avrebbero potuto andare altrove, spostarsi in luoghi più sicuri, o desistere dai loro
impegni cristiani, magari riducendoli, ma non lo hanno fatto, pur essendo consapevoli della
situazione e dei pericoli che correvano ogni giorno. Ingenui, agli occhi del mondo. Ma la Chiesa, e
in definitiva il mondo stesso, vanno avanti grazie a loro, che “non sono fiori spuntati in un deserto”,
e ai tanti che, come loro, testimoniano la loro gratitudine per l’amore di Cristo traducendola in atti
quotidiani di fraternità e speranza.
All’Angelus della festa di Santo Stefano, il primo martire della comunità cristiana, Papa Francesco ha ricordato: “Ancora ci sono – e sono tanti – quelli che soffrono e muoiono per testimoniare Gesù, come c’è chi è penalizzato a vari livelli per il fatto di comportarsi in modo coerente con il Vangelo, e chi fa fatica ogni giorno a rimanere fedele, senza clamore, ai propri buoni doveri, mentre il mondo se ne ride e predica altro. Anche questi fratelli e sorelle possono sembrare dei falliti, ma oggi vediamo che non è così. Adesso come allora, infatti, il seme dei loro sacrifici, che sembra morire, germoglia, porta frutto, perché Dio attraverso di loro continua a operare prodigi (cfr At 18,9-10), a cambiare i cuori e a salvare gli uomini” (Angelus, 26 dicembre 2023).
Stefano Lodigiani
Città del Vaticano (Agenzia Fides)