Il grido della preghiera

Spunti per la condivisione della fede di domenica 19 novembre 2023, ore 15.30, in SMBC – sala Pio XII

Davanti alla guerra: pregare? Io lo dico e ne do testimonianza: il mio cuore è turbato, la mia coscienza è
lacerata, i miei pensieri si smarriscono. Tutti noi, senza fare eccezione tra credenti e non credenti possiamo ripetere: i nostri cuori sono turbati, le nostre coscienze: sono lacerate, i nostri pensieri si smarriscono, le nostre opinioni tendono a dividersi. Smarrimento e angoscia che non ci coinvolgono solo sul terreno del lutto per i morti, delle lacrime per tutti i feriti, del lamento doloroso per i profughi, per i senza tetto, per coloro che vivono nell’angoscia dei bombardamenti giorno e notte. Lo smarrimento e la divisione delle opinioni avvengono pure sul terreno delle riflessioni etico-politiche, che in questi giorni si succedono facendo balenare i più diversi giudizi.

Vorrei dire molto di più: lo smarrimento e l’angoscia toccano persino l’ambito della fede e della preghiera, che è quello che ci riunisce questa sera, perché siamo qui per vegliare, digiunare, intercedere, facendo nostre le intercessioni e le grida di tutti gli uomini e le donne, di tutti i bambini, di tutti i vecchi in qualche modo coinvolti nel conflitto del Golfo, di qualunque parte essi siano. Mi domando allora con voi: perché rischiamo di essere smarriti persino nell’ambito della fede e della preghiera?

La risposta è molto semplice. Perché ci viene spontaneamente sulle labbra la domanda, quasi una protesta a Dio, come Giobbe: abbiamo già pregato, abbiamo chiesto tanto la pace, hanno pregato i nostri bambini, i nostri malati offrendo le loro sofferenze, ma tu, Signore, non ci hai esaudito!

Ecco un grande motivo della nostra sofferenza civile, umana, religiosa, che tocca il cuore della fede: perché, Signore, non ci ascolti? perché nascondi il tuo volto? eppure in te hanno sperato i nostri padri, hanno sperato e tu li hai liberati. Ma io grido di notte e tu non ascolti, di giorno e tu non te ne dai
pensiero!

Vengono alle labbra queste parole dei Salmi, parole non inventate da noi, bensì pronunciate dai credenti di Israele di oltre duemila anni fa, che già si sono trovati davanti a Dio con questo lamento e con questa angoscia nel cuore.

La vera preghiera di intercessione

Ora desidero chiedere al Signore di farci fare un altro passo avanti. Di farci intendere qual è il senso profondo di una vera preghiera per la pace, che sia una preghiera di intercessione nel senso biblico, simile alla preghiera di Abramo, alla preghiera di Gesù su Gerusalemme. Che cosa significa, Signore, fare davvero una preghiera di intercessione? Donaci, o Spirito santo di Dio, uno spirito autentico di intercessione in questo momento.

  1. Intercedere non vuol dire semplicemente “pregare per qualcuno”, come spesso pensiamo. Etimologicamente significa “fare un passo in mezzo”, fare un passo in modo da mettersi nel mezzo di una situazione. Intercessione vuol dire allora mettersi là dove il conflitto ha luogo, mettersi tra le due parti in conflitto. Non si tratta quindi solo di articolare un bisogno davanti a Dio (Signore, dacci la pace!), stando al riparo.
    Si tratta di mettersi in mezzo. Non è neppure semplicemente assumere la funzione di arbitro o di mediatore, cercando di convincere uno dei due che lui ha torto e che deve cedere, oppure invitando tutti e due a farsi qualche concessione reciproca, a giungere a un compromesso. Così facendo,
    saremmo ancora nel campo della politica e delle sue poche risorse. Chi si comporta in questo modo rimane estraneo al conflitto, se ne può andare in qualunque momento, magari lamentando di non essere stato ascoltato. Intercedere è un atteggiamento molto più serio, grave e coinvolgente, è qualcosa di molto più pericoloso.
    Intercedere è stare là, senza muoversi, senza scampo, cercando di mettere la mano sulla spalla di entrambi e accettando il rischio di questa posizione.
    In proposito troviamo nella Bibbia una pagina illuminante. Nel momento in cui Giobbe si trova, quasi disperato, davanti a Dio che gli appare come un avversario, con cui non riesce a riconciliarsi, grida:
    “Chi è dunque colui che si metterà tra il mio giudice e me? chi poserà la sua mano sulla sua spalla e sulla mia?” (cf Gb 9,33-39, vers. spec.).
    Non dunque qualcuno da lontano, che esorta alla pace o a pregare genericamente per la pace, bensì qualcuno che si metta in mezzo, che entri nel cuore della situazione, che stenda le braccia a destra e a sinistra per unire e pacificare.
  2. È il gesto di Gesù Cristo sulla croce, del Crocifisso che contempliamo questa sera al centro della nostra assemblea. Egli è colui che è venuto per porsi nel mezzo di una situazione insanabile, di una inimicizia ormai giunta a putrefazione, nel mezzo di un conflitto senza soluzione umana. Gesù ha
    potuto mettersi nel mezzo perché era solidale con le due parti in conflitto, anzi i due elementi in conflitto coincidevano in lui: l’uomo e Dio.

Ma la posizione di Gesù è quella di chi mette in conto anche la morte per questa duplice solidarietà; è quella di chi accetta la tristezza, l’insuccesso, la tortura, il supplizio, l’agonia e l’orrore della solitudine esistenziale fino a gridare: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27, 46).

Questa è l’intercessione cristiana evangelica. Per essa è necessaria una duplice solidarietà. Tale solidarietà è un elemento indispensabile dell’atto di intercessione. Devo potere e volere abbracciare con amore e senza sottintesi tutte le parti in causa. Devo resistere in questa situazione anche se non capito o respinto dall’una o dall’altra, anche se pago di persona. Devo perseverare pure nella solitudine e nell’abbandono.

Devo avere fiducia soltanto nella potenza di Dio, devo fare onore alla fede in Colui che risuscita i morti.
Tale fede è difficile, per questo l’intercessione vera è difficile. Ma se non vi tendiamo, la nostra preghiera sarà fatta con le labbra, non con la vita. Naturalmente un simile atteggiamento non calpesta affatto le esigenze della giustizia. Non posso mai mettere sullo stesso piano assassini e vittime, trasgressori della legge e difensori della stessa. Però, quando guardo le persone, nessuna mi è indifferente, per nessuno provo odio o azzardo un giudizio interiore, e neppure scelgo di stare dalla parte di chi soffre per
maledire chi fa soffrire. Gesù non maledice chi lo crocifigge, ma muore anche per lui dicendo: “Padre, non sanno quello che fanno, perdona loro” (Le 23,34).

Noi ci accorgiamo che una vera intercessione è difficile; può essere fatta solo nello Spirito Santo e non sarà necessariamente compresa da tutti. Ma se un desiderio essa suscita è questo: di essere in questo momento nei luoghi del conflitto, nelle strade di Bagdad o di Riad o di Bassora, nelle strade di Tel Aviv, dove cittadini inermi sono minacciati e uccisi. Stare là in pura passività, senza alcuna azione politica o alcun clamore, fidando solo nella forza della intercessione. Stare là, come Maria ai piedi della croce, senza maledire nessuno e senza giudicare nessuno, senza gridare alla ingiustizia o inveire contro qualcuno.

Se la guerra sarà abbreviata, e noi lo chiediamo con tutto il cuore, uniti insieme con il Papa, se la forza dei negoziati soverchierà di nuovo – lo speriamo presto – la forza maligna degli strumenti di morte, ciò sarà certamente anche perché nei vicoli delle città dell’Oriente, nei meandri attorno alle moschee o sulla spianata del muro occidentale di Gerusalemme ci sono piccoli uomini e piccole donne, di nessuna importanza, che stanno là, così, in preghiera, senza temere altro che il giudizio di Dio; prostrati, come dice Neemia, davanti al Signore loro Dio, confessando i loro peccati e quelli di tutti i loro amici e nemici, finché non si avveri la profezia di Isaia: “In quel giorno ci sarà una strada dall’Egitto verso l’Assiria; l’Assiro andrà in Egitto e l’egiziano in Assiria; gli Egiziani serviranno il Signore insieme con gli Assiri. In quel giorno Israele sarà il terzo con l’Egitto e l’Assiria, una benedizione in mezzo alla terra. Li benedirà il Signore degli eserciti: ‘Benedetto sia l’Egiziano, mio popolo, l’Assiro opera delle mie mani e Israele mia eredità’” (Is 19,21-25).

Carlo Maria card. Martini
29 gennaio 1991

Gesù diceva ai discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:

“In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi””. E il Signore soggiunse: “Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”.

Vangelo secondo Luca, cap.18

Qual è il grido della mia preghiera?


Come non farsi scoraggiare quando Dio sembra non ascoltare la mia preghiera, il mio grido?