Fernando Lisi è un giovane di 19 anni della nostra Comunità pastorale. Studia Scienze politiche, con indirizzo Relazioni Internazionali, all’Università Cattolica di Milano. Nei mesi scorsi ha fatto un’esperienza molto importante all’estero. Gli abbiamo posto qualche domanda per farci raccontare com’è andata.
Fernando, ci racconti la tua esperienza?
“Dal 26 luglio al 24 agosto sono stato a Santa Ana, nello stato di El Salvador. Ho preso parte, con altri quattro giovani di Milano, ad un progetto missionario organizzato dai Salesiani all’interno di una scuola gestita dalle suore di Santa Maria Ausiliatrice, dalla materna alle superiori”.
Un viaggio bello lungo, quanto ci hai messo per arrivare?
“All’andata abbiamo fatto due scali, prima a Madrid e poi in Guatemala, al ritorno solo uno, a Madrid. Ci sono volute 13-14 ore di volo”.
Hai scelto tu questa destinazione?
“Sì, avevamo tre alternative: El Salvador, Etiopia e Bosnia-Erzegovina (Sarajevo). Ho scelto la prima per sentirmi più vicino al mio paese di origine, la Bolivia”.
Avevate fatto una preparazione prima di partire?
“Sì, partecipando ad alcuni campi missionari e centri estivi in Italia. In questo modo abbiamo iniziato a capire qualcosa di quello che poi avremmo trovato”.
Che tipo di attività avete fatto in Salvador?
“Al mattino ciascuno di noi ragazzi stava in una classe. La lingua ovviamente era lo spagnolo. Zero inglese, non lo parlano per niente. Nella mia classe c’erano bambini di 8 anni. Noi li aiutavamo a fare i compiti dando supporto alle maestre. Al pomeriggio, invece, organizzavamo diverse attività. Io ho fatto delle lezioni di italiano, insegnando ai bambini alcune parole e nostri modi di dire. Erano curiosissimi e mi riempivano di domande. Altri miei compagni di avventura hanno fatto fare ai bambini braccialetti, origami o disegni. Nelle pause giocavamo, spesso a pallone. Con gli altri volontari abbiamo anche ridipinto tutti i bagni della struttura e fatto altri lavoretti di manutenzione. È stato un piccolo segno di ringraziamento per chi ci ha offerto vitto e alloggio”.
Che tipo di realtà hai avuto modo di conoscere?
“Eravamo a contatto con alcuni volontari salvadoregni, ragazzi e adulti, e devo dire che sono stati molto ospitali, facendoci conoscere la realtà al di fuori della scuola. Nel Paese ho notato una notevole disparità sociale, anche nella scuola stessa, nonostante tutti i bimbi indossassero la divisa e alla prima impressione fossero tutti uguali. Poi, conoscendoli, ti accorgevi che alcuni stavano bene, altri invece non avevano niente. Noi volontari italiani siamo stati visti come una bella novità, proveniente da lontano, dall’Europa, un mondo a loro sconosciuto. Il loro unico modello di riferimento e di efficienza sono gli Stati Uniti, quindi trovarsi di fronte degli italiani li incuriosiva moltissimo”.
E fuori dalla scuola?
“Si respira nell’aria che non c’è la libertà che abbiamo in Italia. I ragazzi di 16-17 anni non escono mai da soli, neanche per tornare a casa dopo la scuola. Si percepisce la preoccupazione delle persone per la criminalità, che specie un tempo era fortissima. E c’è anche una grande povertà culturale. El Salvador è un paese arretrato, con un forte divario tra liberalismo e conservatorismo. La famiglia è importantissima nella società”.
Il rapporto con la fede?
“Ho toccato con mano che la fede è molto sentita. Dà la speranza e ti fa andare avanti guardando con fiducia alla vita, nonostante tutte le difficoltà. Avverti che è qualcosa di forte. Qui da noi, purtroppo, a volte viene vissuta in modo stanco, specie dai giovani. In Salvador i bambini, quando ti salutano, dicono che Dio ti benedica! E quando i piccoli sono in chiesa non senti mai volare una mosca…”.
Proprio come da noi…
Fernando ride.
Altre differenze che hai notato rispetto al nostro modo di vivere?
“Un weekend siamo andati in un parco acquatico. Tutte le donne, adulte o ragazze che fossero, indossavano pantaloncini e maglietta. Gli smartphone li usano tutti, così come i social. Però mi è parso di capire che questi ultimi non siano utilizzati come strumento di potenziale innovazione e cambiamento. Per esempio non capita mai che qualcuno organizzi un raduno facendo appello sui social. Tutti sono ben consci del rischio che si corre andando fuori dalle righe, meglio non sgarrare troppo. La libertà purtroppo è limitata così come profonde sono le ingiustizie sociali”.
Consiglieresti questa esperienza che hai fatto ad altri giovani come te?
Sì perché credo ti aiuti ad aprirti verso nuovi orizzonti, capendo davvero cosa vuol dire essere libero. Tonando da quell’esperienza capisci a fondo tutto ciò che abbiamo nel nostro Paese: studiamo, lavoriamo, ci divertiamo, possiamo fare tutto e apprezzare la serenità che abbiamo. Ovviamente è una sensazione soggettiva, altri miei compagni saranno tornati a casa con altre impressioni. Una cosa è certa: un’esperienza simile ti aiuta a crescere e a me, personalmente, ha dato tanta energia e voglia di fare”.
Mi puoi dire l’emozione più forte che hai provato?
“Sono due. I primi giorni che eravamo lì siamo passati col nostro pullmino in una strada che costeggiava un lago. Da un lato vedevamo boschi e capanne, o per meglio dire baracche, con indigeni che vivevano tra mille difficoltà, senza niente. Dal lato opposto si vedevano le recinzioni di alcune ville affacciate sul lago, davvero imponenti. Il contrasto che ho percepito è stato fortissimo. La seconda emozione forte l’ho provata l’ultimo giorno, salutando i bambini. Non ci lasciavano più andare via e chi chiedevano: ‘Tornerai?’. Poi ci hanno riempito di regalini, caramelle, cartoline e piccoli pupazzetti. Qualche lacrima è scesa in quel momento denso di emozioni”.
Ti ricordi la cosa più buona che hai mangiato?
“Le popusas. Sono simili alle piadine, un po’ più piccole. Dentro ci puoi mettere carne, formaggio. È il classico cibo di strada, molto economico. La mia preferita era la revuelta: carne di chicharrón (maiale fritto, ndr), formaggio e fagioli. Buonissima”.
Torneresti in Salvador?
“Sì, perché sono stato bene e lo farei soprattutto per rivedere le persone che ho conosciuto. È stata un’esperienza positiva, che ha aumentato la mia curiosità di conoscere altri posti, magari sempre in quelle zone, oppure anche in altri luoghi, ad esempio in Africa”.
In qualche modo pensi ti abbia cambiato questa esperienza?
“Sì, a partire dall’autostima. Poi mi ha aperto gli orizzonti, come dicevo prima, e la voglia di fare cose. È stata una botta di energia che penso mi abbia fatto maturare. Ad esempio anche dandomi la voglia di raccontare ciò che ho fatto o visto. Mi è capitato di farlo con alcuni amici ma anche qui con voi. Un tempo forse non avrei avuto questo slancio di condivisione, avrei tenuto tutto per me. Al contempo questa esperienza mi ha dato anche la carica e la voglia di rivedere il mio paese, la Bolivia”.
Grazie Fernando, per la tua testimonianza e il tuo racconto. E per aver condiviso con noi le tue emozioni.
“Grazie a voi, è stato un piacere”.
Orlando Sacchelli